Cos’è il contratto psicologico?

Il Contratto Psicologico nel mondo del lavoro.

La nozione di contratto psicologico non è certamente nuova negli studi di psicologia sociale e del lavoro. Si tratta di un contratto che, contrariamente a quelli legali che aspirano ad un qualche criterio di oggettività attraverso requisiti “esterni” relativi al consenso, alla causa, all’oggetto e, quando necessario, alla forma, nasce e si struttura nella mente dei soggetti e possiede requisiti “interni” ai partecipanti alla transazione: uno scambio di tipo psicologico, dunque, che nasce dalle aspettative reciproche tra lavoratore e datore di lavoro.Il contratto psicologico può precedere, accompagnare e in qualche caso addirittura sostituire quello legale. Delinea un vincolo tra le parti costituito dall’insieme di ciò cui il soggetto si sente impegnato e di ciò che si attende dall’altra parte. L’attenzione al contratto psicologico deve ritenersi ampiamente giustificata dall’importanza che esso riveste all’interno della comunità dove acquista consistenza, riducendo l’incertezza circa i propri impegni e le proprie aspettative e integrando il contratto formale che regola i rapporti tra gli attori. Grazie ad esso l’assetto sostanziale dei rapporti evolve in modo che il sistema di controllo e supervisione sui comportamenti individuali ceda il passo ad un crescente senso di responsabilità dei soggetti

Il contratto psicologico aumenta il sentimento di appartenenza contribuendo a rinforzare la percezione di poter influenzare il proprio futuro, proprio perché ciascuno lo costruisce mettendo nello stesso gli elementi (obblighi e aspettative) che giudica importanti. In sostanza, in relazione agli obiettivi sulla base dei quali si è strutturata la relazione, si delinea una ipotesi o addirittura un modello di futuro, rendendo maggiormente prevedibili i comportamenti dei soggetti coinvolti. Non è un caso, dunque, che in ambito organizzativo il tema del “contratto” psicologico tra le parti, in presenza o meno di un contratto formale, sia da tempo oggetto di attenzione. Si ricordano qui il contratto formativo, il contratto di consulenza, il contratto orientativo, il contratto di coaching e di mentoring, il contratto di tutorship, il contratto di assistenza alla persona, il contratto terapeutico, etc., ampiamente studiati nell’ambito della psicologia organizzativa proprio perchè, comunque, implicitamente presenti nel rapporto tra le parti. La loro consistenza e la loro qualità contribuiscono in maniera determinante a definire gli impegni reciproci. Ad esempio, nel contratto orientativo – prestazione resa nella maggior parte dei casi a titolo gratuito e senza che vi sia sostanzialmente un contratto formale tra le parti – è solo la presenza di un impegno percepito e fatto proprio dal Cliente che rende possibile lo sviluppo di un percorso nel quale, all’impegno dell’operatore, faccia riscontro l’assunzione di una responsabilità specifica in ordine alle scelte da parte del Cliente stesso.

SSi potrebbe anzi sostenere che, nell’orientamento, senza un “buon” contratto psicologico finiremmo presto nelle vecchie pratiche diagnostico-predittive che ci siamo lasciati alle spalle a favore di criteri e di metodologie autovalutative e responsabilizzanti. È sulla base di questi presupposti che sin dalle prime fasi dell’accoglienza il contratto orientativo è proposto e discusso con il cliente con lo scopo non di formalizzare il rapporto, bensì di indirizzare in maniera realistica le sue aspettative. Analogamente, potremmo rilevare l’importanza del contratto psicologico presente nella relazione tra formatore e discente uno degli elementi essenziali del processo di apprendimento, basato anche sulle aspettative e sulla credibilità delle parti; così come, ancora, nella relazione di consulenza è la percezione dell’impegno reciproco che definisce il modello adottato. La dimensione psicologica del contratto che lega le parti è ancora più evidente, ovviamente, nei servizi alla persona o nel contratto terapeutico, dove gli elementi formali deducibili nel contratto legale non sono idonei a definire compiutamente l’oggetto effettivo della prestazione, lasciando “implicite”, e dunque riconducibili ad un ampio sistema di aspettative, componenti essenziali della stessa .

Autore di questo articolo è Giorgio Sangiorgi, Professore di Psicologia delle Organizzazioni e creatore di MITO

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