Smart work e Soft skill

(Parte 2)

Oggi si parla di smart working, di lavoro intelligente e – pur sottolineando come saranno gli effettivi assetti organizzativi a definire i concreti job requirement – vorremmo suggerire alcune skill che paiono essenziali per coloro che intendono (o si trovano a dover) operare in questo contesto organizzativo, sia che il lavoro si svolga in remoto, sostanzialmente a casa, sia che si svolga nell’ambito di una organizzazione.

Va da sé che queste skill – che dovrebbero essere possedute dal lavoratore – debbono essere ricercate in fase di selezione, individuate e valutate nella performance e sviluppate attraverso la formazione: queste capacità non sono innate, bensì frutto di apprendimento (a proposito, cosa fa la scuola per insegnarle?).

Non basta essere inserito in una organizzazione smart: un lavoratore, infatti, può definirsi smart worker quando affianca ad appropriate conoscenze – nel senso di adeguate al livello della mansione – nell’ambito scientifico e culturale di riferimento, le competenze tecniche e professionali necessarie per eseguire i compiti assegnati e quando è in grado di esprimere capacità significative e apprezzabili in un contesto smart. Possiamo parlare di smart skill come presupposto per smart working?

Èsempre difficile fare elenchi: quello che è smart in una organizzazione potrebbe non esserlo in un’altra, ma possiamo comunque tentare di definire alcune di queste skill che debbono rispondere ad alcuni requisiti. Infatti, una skill potrebbe essere smart solo se:
• si rivela utile in una larga generalità di casi, è indipendente dal contesto in cui si esprime e non si riferisce a una specifica attività
• può essere appresa e sviluppata long life
• pur non sostituendosi alle conoscenze e alle competenze, ne riduce i limiti e ne esalta le potenzialità

Ovviamente senza alcuna pretesa di esaustività e ricordando che tutte le capacità già indicate rimangono comunque importanti, talvolta essenziali al punto da rappresentare davvero le core skill di una specifica attività, cioè quelle che sono indispensabili per lo svolgimento della mansione assegnata, vorremmo proporre alcune possibili smart skill.

• Prima di tutto, la curiosità, intesa come capacità di recepire gli stimoli dal contesto attraverso una forte motivazione e alcune risorse (attenzione, desiderio di apprendere, capacità di concettualizzazione e di inferenza) che consentono di utilizzare rapidamente informazioni e osservazioni.
Capacità cooperativa, di condividere le informazioni, partecipare, collaborare con altri per un obiettivo comune, fondata sulla disponibilità, accettazione dell’altro e del lavoro di squadra anche in mancanza della co-presenza.
Autonomia e indipendenza di giudizio, che corrisponde alla capacità di assumere decisioni e responsabilità personali pur nel rispetto delle richieste dell’ambiente circostante, evitando sia di ricorrere alla delega sia di accettare passivamente le indicazioni ricevute.
Formabilità che può essere definita come l’insieme delle risorse personali disponibili, in un dato momento e in prossimità di un evento formativo, che rendono idonei a prendervi parte con efficacia: una attuale e specifica capacità di affrontare con successo un percorso di apprendimento
Gender sensitivity. Si tratta di una capacità complessa e multidimensionale che consente di leggere, analizzare e comprendere le questioni di genere presenti nei contesti in cui si opera, ponendosi in grado di interpretare il proprio ruolo e di assumere decisioni operative nel rispetto delle pari opportunità di tutte le persone coinvolte.

Capacità di essere Changing Agent nelle situazioni di cambiamento, assumendo comportamenti funzionali rispetto alle esigenze evolutive dell’organizzazione e più in generale nei confronti del cambiamento. Questa skill si intreccia con l’orientamento all’innovazione.
Stabilità emotiva intesa come capacità di fronteggiare situazioni difficili attraverso il monitoraggio delle proprie reazioni e senza particolari variazioni dell’umore, sia in condizioni di routine sia in condizioni di impegno superiore o di contingenti situazioni critiche, rispettando con continuità le esigenze di lavoro.
Autoefficacia, cioè la fiducia nelle proprie possibilità, insieme al convincimento della propria capacità di gestire e influenzare gli eventi, assumere decisioni, reagire costruttivamente agli insuccessi.
Attribuzioni interne (locus of control) per spiegare le cause dei propri successi e dei propri fallimenti, rinunciando a considerare gli eventi della propria vita come determinati dalle azioni di altre persone o dal caso.
Capacità di autoorganizzazione, intesa come capacità di comprendere le necessità operative e di programmare il lavoro, gestendo autonomamente il proprio tempo in rapporto alle necessità operative e tenendo conto delle relazioni con gli altri attori organizzativi.

Naturalmente, altre skill (tenacia e determinazione, visione sistemica dei problemi e dei contesti, flessibilità e capacità di interagire con realtà operative mutevoli, etc.) e sono utili, talvolta indispensabili, al lavoratore che aspiri a un ruolo significativo nella propria organizzazione. E non è certo compito di questa riflessione decidere cosa sia smart e cosa non lo sia.

Autore di questo articolo è Giorgio Sangiorgi, Professore di Psicologia delle Organizzazioni e creatore di MITO

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