Orientamento
e Orientatori

Nuove sfide e opportunità per l’orientamento in Italia.

Ormai da alcuni anni, l’orientamento si trova a vivere la felice “sorpresa” di crescenti responsabilità, crescenti richiami normativi, crescenti finanziamenti: sembra si sia finalmente affermata l’idea che, nell’arco della vita, il soggetto, di fronte alla complessità ed al cambiamento dei contesti, ma anche in ragione della difficoltà di disporre di una mappa precisa delle proprie capacità e competenze possa – debba – chiedere ed ottenere aiuto per qualificare le proprie scelte e le proprie decisioni.
E’ indispensabile oggi – anche in relazione ai compiti ed alle responsabilità che la Società Italiana di Orientamento dovrà assumere – che la comunità degli orientatori giunga rapidamente ad una più precisa definizione e consapevolezza del proprio ruolo, anche sociale, della propria identità, della propria professionalità e delle proprie potenzialità.

Si tratta di un gruppo variegato e complesso, anche numeroso, nel quale convivono docenti, ricercatori, professionisti, operatori pubblici e privati. Comunque li si voglia chiamare costituiscono nel loro insieme una risorsa per i giovani, i lavoratori, le persone in cerca di occupazione. Una risorsa per il paese. Un gruppo, una comunità, tuttavia, ancora oggi, malgrado la crescente diffusione dell’orientamento, priva di un conveniente statuto e di standard professionali appropriati. Cioè priva almeno di una parte di quegli elementi che consentono, anche in riferimento a quanto accade negli altri paesi dell’Unione, il riconoscimento di una professione matura, articolata e utile. E’ dunque un’istanza non grettamente corporativa rilevare la necessità di una riflessione strategica sulle competenze e sulle capacità degli orientatori. Certo, esiste il problema di consentire uno sbocco professionale adeguato e significativo per i nostri giovani che escono dai Corsi di Laurea e dai Master; esiste il problema di tutelare i clienti dalle troppo frequenti intrusioni di operatori del tutto privi di una qualificazione appropriata; esiste la necessità di favorire, particolarmente in quest’epoca di trasformazioni, studi e ricerche che meglio definiscano le problematiche associate alle scelte.
In maniera più puntuale, è facilmente accertabile come da alcuni anni le attività di orientamento – career counselling e career guidance – hanno assunto un crescente rilievo ed una crescente diffusione nel territorio.

N umerose normative introducono l’orientamento tra gli strumenti concreti che si rivelano necessari per assicurare specifiche finalità. Basti ricordare il ruolo dell’orientamento nel mondo della formazione e dell’istruzione, con particolare riferimento al processo di Riforma della scuola, insieme al ruolo che lo stesso assume nell’ambito del Mercato del Lavoro, quando è richiamato sia come strumento delle politiche attive del lavoro, sia come modalità di elezione per interventi in situazioni critiche o nei confronti di lavoratori espulsi dai processi produttivi. L’orientamento però attraversa anche altri mondi: è presente nel dibattito scientifico e tecnologico, nell’attenzione riservata alla terza età, nel dibattito sull’uso consapevole delle risorse, nella riflessione sulla soggettività. A questa diffusione fanno riscontro nuove e numerose responsabilità alle quali gli orientatori fanno fronte. Sono infatti consapevoli del loro ruolo e della criticità delle decisioni che sono davanti ai loro Clienti, quale sia il bisogno (non la domanda) che li caratterizza, in un contesto nel quale lo spreco di risorse dovute a scelte sbagliate rappresenta un costo – economico e sociale, ma anche psicologico – non più sostenibile. Ritengono che il “progetto personale” di ciascuno – appropriato, realistico, affidabile, concreto – passi attraverso una riflessione circa le proprie motivazioni, le capacità, le competenze, circa i propri vincoli e le opportunità che il contesto personale, familiare, economico e sociale propongono. A questo, al di là delle formule, devono tendere i processi di orientamento.

Autore di questo articolo è Giorgio Sangiorgi, Professore di Psicologia delle Organizzazioni e creatore di MITO

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