Quali contesti per l’orientamento?

I luoghi privilegiati dell’orientamento (PARTE II)

Outplacement, nei momenti in cui stimola il lavoratore ad una precisa consapevolezza delle proprie caratteristiche, potenzialità, esperienze in rapporto ad elementi concreti del mercato del lavoro: ciò significa ricorso a metodologie di counselling, larga disponibilità di informazioni, nozione processuale ed educativa dell’outplacement. L’outplacement non si identifica ovviamente con l’orientamento soprattutto in ragione della sua direttività e della relazione con il soggetto che è di natura consulenziale e non di aiuto.

Career change infra ed inter organizzativo, e cioè in tutte quelle circostanze nelle quali chi lavora si trova a cambiare la propria posizione all’interno della propria organizzazione, ovvero quando il cambiamento si riferisce al passaggio ad un’altra organizzazione. Emergono, in queste circostanze, situazioni di disorientamento quando il soggetto, in un quadro obiettivo di incertezza e soggettivo di insicurezza, deve comprendere le opportunità che ha davanti e porle in raffronto con se stesso e con il proprio sistema di riferimento.

Terza età, nella considerazione ormai diffusa che l’allungarsi della speranza di vita, il permanere anche in età avanzata di capacità e motivazioni professionali, non disgiunte da concrete necessità economiche, pongono in maniera crescente la necessità di definire nuove ipotesi di intervento. Se poi pensiamo come i processi di ristrutturazione dell’apparato produttivo di fatto investano in misura consistente proprio la fascia dei lavoratori “over 50”, emerge con evidenza un “nuovo problema” occupazionale nei confronti del quale le tradizionali politiche attive rivelano appieno i propri limiti;

Comunità, dove, nei modi più variegati e complessi, la società civile esprime la propria solidarietà ed il proprio impegno nei confronti di soggetti che appaiono drammaticamente privi di opportunità. E’ impossibile fare una descrizione semplice di queste comunità nelle quali il mondo del volontariato, ma anche professionisti qualificati, si occupano di soggetti svantaggiati, di tossicodipendenti, di alcolisti, di malati mentali, di detenuti e della loro “transizione” dal gruppo comunque chiuso o dall’istituzione alla società. Qui ovviamente sono prevalenti i ruoli terapeutici e di servizio sociale. Ma come non vedere nel contributo degli orientatori, quando può realizzarsi,  la speranza, la tensione a “progettare” il reinserimento sociale che spesso passa per il reinserimento lavorativo?

L’orientamento, come peraltro tutte le helping profession, si rivolge agli individui, ai Clienti singoli che sono portatori di bisogni e che chiedono aiuto. In qualche caso, ad esempio nella scelta scolastica, nella mobilità infraorganizzativa o nel reinserimento al lavoro di lavoratori appartenenti alle fasce deboli, si rivolge anche al loro sistema di riferimento, alla famiglia o al gruppo con il quale il soggetto intrattiene relazioni stabili. Assume tuttavia le caratteristiche di un intervento sul territorio quando si pone al servizio di strategie di sviluppo o di promozione culturale, economica e sociale di una comunità, di un gruppo, di una organizzazione. Per questo l’orientatore dispone anche di competenze e di metodologie di intervento riferibili a livelli ed a problemi più complessi (organizzazioni e collettivi). In questi casi tuttavia naturalmente occorre rammentare la connessione stretta tra l’orientamento e la psicologia delle organizzazioni e strutturare l’attività ed il ruolo stesso del career counsellor in termini di intervento psicosociale a livello del territorio. Questa prospettiva, nell’impegno espresso più volte a livello istituzionale per una maggior qualificazione dei servizi, appare tutt’altro che secondaria.

Autore di questo articolo è Giorgio Sangiorgi, Professore di Psicologia delle Organizzazioni e creatore di MITO

Scopri tutti i percorsi di MITO dedicati all’Orientamento

VAI ALLA PAGINA